Questo agile e utile libro di Lorenzo Comaschi, frutto di una proficua carriera nel campo commerciale e nella gestione dei collaboratori, presenta le leve della persuasione basata sull’abilità comunicativa. Il suo scopo è di valorizzare i processi di influenza alla base non solo della vita delle imprese, ma anche dell’esistenza privata. Alcuni sociologi separano nettamente la propaganda, spesso utilizzata per manipolare (si pensi alla pericolosa diffusione delle fake-news), dalla persuasione normalmente utilizzata per fini costruttivi (si pensi alla modalità di convincimento impiegata dai genitori nell’interesse dei figli).

Su questo tema Richard Thaler è stato insignito lo scorso anno del premio Nobel in Economia in relazione ai suoi studi sulla “nugde”, la cosiddetta spinta gentile basata sulla pressione nell’interesse collettivo. Questo approccio costruttivo ha influenzato anche i processi di negoziazione che, svolti in modo intelligente, possono originare valore aggiunto da ambo le parti basandosi sulla modalità “win-win” (puntando a far vincere entrambi i contendenti). Allo stesso modo una vendita ben realizzata può creare soddisfazione reciproca e valore aggiunto sia al venditore che all’acquirente. Un navigato direttore commerciale di una grande impresa multinazionale di beni di largo consumo ripeteva ai suoi collaboratori: “coloro che credono che il comprare sia attività piacevole e il vendere sia attività faticosa e sgradevole, non solo non sanno vendere, ma non sanno nemmeno comprare…” 10 Leggendo il libro di Comaschi si può cogliere una proficua similitudine tra vendere e comunicare.

Non solo la vendita deve basarsi su un’efficace comunicazione, ma una valida comunicazione spesso è una “vendita” di concetti o un tentativo di influenzare. In proposito riteniamo utili alcune citazioni di fonti che hanno aperto nuove prospettive nella comunicazione persuasiva. Robert Cialdini, che nel 1984 pubblicando Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire sì, ha illustrato le seguenti tecniche che vengono diffusamente utilizzate per stimolare l’acquiescenza negli interlocutori. Fare ricorso alla reciprocità (si tratta della diffusa regola che stimola al contraccambio), alla coerenza (cioè alla pressione derivante da quanto precedentemente si è stati indotti a dichiarare), all’imitazione (cioè alla necessità di allinearsi all’interlocutore per evitare la riprovazione sociale), alla simpatia (cioè all’adesione indotta da chi ci appare simile e condivide le nostre idee). Massimo Piattelli Palmarini, che nel 1995 pubblicando L’arte di persuadere. Come impararla, come esercitarla, come difendersene, ha risposto al perché una richiesta formulata in un certo modo viene respinta, mentre una richiesta identica presentata in modo opportuno ottiene il risultato voluto. Howard Gardner, che nel 2011 pubblicando L’arte e la scienza della persuasione ha utilizzato la sua innovativa teoria sulle intelligenze multiple per aprire l’orizzonte alle varie facoltà mentali, che non abbiamo la consapevolezza di possedere, mettendo a fuoco la natura dei cambiamenti mentali e come possono essere ottenuti.

Far cambiare idee è, infatti, un processo lento e costante che, se efficacemente condotto, può originare all’improvviso il nuovo orientamento mentale voluto dall’influenzatore e gradito anche dall’influenzato. Gardner è anche un neuroscienziato e questa disciplina ha aperto il filone che, impiegando le tecniche di neuroimmagine, ha evidenziato quali circuiti mentali si attivano nei processi di acquisto. Si tratta del neuromarketing che consente di comprendere e anticipare le modalità mentali che stimolano le decisioni di acquisto di beni e servizi. Il neuromarketing è riuscito ad evidenziare come le persuasioni nascono da influenze razionali (emergenti dal cervello corticale), ma, soprattutto, da spinte emozionali (emergenti dal cervello limbico) e, addirittura, da pulsioni istintive (emergenti dal cosiddetto “cervello rettiliano”). Nel panorama dei meccanismi di persuasione occorre infine segnalare che spesso le persone non riescono, quando occorre, a dire di no agli altri e a se stessi.

Se non si riesce a pronunciare il no ragionato e suadente possono restringersi notevolmente i margini di manovra e gli spazi di autonomia personale, accettando situazioni tutt’altro che gradevoli. Per riepilogare in modo divertente le modalità per capire e farsi capire riportiamo il seguente aneddoto. 11 Un convento di frati domenicani e un convento di frati francescani erano da anni in disputa a proposito di una chiesetta medioevale che sorgeva sulla linea di confine tra i due conventi. Per porre fine all’annosa questione i due padri priori decisero che la chiesetta sarebbe stata definitivamente destinata al convento che avesse vinto una disputa teologica appositamente organizzata. Trattandosi di domenicani, colti, e francescani, semplici, si decise che la disputa sarebbe avvenuta a gesti per mettere i due contendenti su un piano di parità. Partì il frate domenicano che alzò un dito. Per tutta risposta il frate francescano alzò due dita. Con calma rispose il domenicano alzando tre dita. A quel punto il frate francescano riunì tutte le dita a mo’ di pigna e mandò la mano su e giù. Cavallerescamente il dotto frate domenicano si dichiarò sconfitto e la chiesetta fu assegnata ai francescani. La sera, durante la cena, nel refettorio dei domenicani e in quello dei francescani aleggiava un’unica curiosità. Quale fosse stato il significato della disputa. Il domenicano, sollecitato bonariamente dal padre priore, dichiarò: “Alzando un dito intendevo ribadire l’unicità di Dio. Rispondendomi con due dita alzate il frate francescano voleva affermare che tale unicità è comunque in duplice natura. Al che io ho risposto richiamando la trinità e ho quindi mostrato tre dita. Ma il francescano mi ha battuto riunendo tutte le dita in cima alla mano e ricordandomi che si tratta comunque di un’unica essenza”.

Il francescano, sollecitato a sua volta dalla curiosità dei suoi fratelli, disse: “Il domenicano ha cominciato per primo a minacciarmi puntandomi un dito per farmi capire che voleva accecarmi un occhio. Io non mi sono lasciato intimorire e gli ho risposto che glieli avrei accecati tutti e due. Allora lui mi ha risposto, nella foga di vincere, che mi avrebbe accecato tre occhi. A questo punto gli ho ricordato che stava dicendo una sciocchezza, perché abbiamo tutti due occhi e gli ho agitato la mano con scherno”.

Lugano, settembre 2018

Gian Carlo Cocco