Valorizzare il fattore umano patrimonio intangibile delle imprese
Intervista di Ugo Perugini

Il prof. Gian Carlo Cocco – fondatore della società di consulenza Ideamanagement e titolare in Svizzera della Gian Carlo Cocco Sagl, che coordina progetti di consulenza, sviluppo, formazione e applicazione delle neuroscienze per imprese multinazionali – ha scritto il libro “Governare l’impresa con il capitale umano”. Una nuova contabilità per la gestione e lo sviluppo delle competenze – Franco Angeli, 24,00 euro – che ha il pregio della chiarezza e della linearità.

Si tratta di un lavoro ben strutturato che fornisce elementi utili a chi si occupa di formazione manageriale per gestire e valorizzare il patrimonio intangibile delle imprese, rappresentato dalle competenze umane dei propri collaboratori, attraverso opportuni criteri e strumenti studiati ad hoc.

Al Prof. Cocco, abbiamo rivolto alcune domande per approfondire le tematiche affrontate nel suo lavoro.

Gli investimenti delle imprese stanno passando sempre più dai beni tangibili a quelli intangibili, immateriali, come software, database, branding, design. Un recente libro di Jonathan Haskel e Stian Westlake (2018, Franco Angeli) intitolato Capitalismo senza capitale, tra l’altro, si pone alcune domande: Chi crea il valore in un’azienda? Chi lo estrae, come lo si distribuisce in un’economia che ha individuato una nuova sorgente nel valore delle attività immateriali, cognitive, simboliche, linguistiche dell’essere umano?

Effettivamente la creazione del valore delle imprese è sempre più il prodotto dalle competenze possedute e sviluppate dal capitale umano, cioè dall’esperienza e dall’ingegno delle persone. L’estrazione e la distribuzione di questo valore viene effettuata tramite strumenti di gestione e sviluppo dei knowledge manager. Occorre in proposito una nuova forma di contabilizzazione, come proposto nel mio libro. Purtroppo a questa visione si contrappone lo strapotere dell’economia monetaria che impone di puntare alle manovre di speculazione finanziaria, le quali tendono a concentrare sempre più la ricchezza nelle mani di pochi operatori (come, ad esempio, i “fondi sovrani”). La tematica sulla valorizzazioni dei beni tangibili d’impresa è stata affrontata nel libro mio e di Marcello Bianchi, Valorizzare il patrimonio strategico d’impresa, Guerini e Associati, 2013.

Con il suo libro “Governare l’impresa con il capitale umano. Una nuova contabilità per la gestione e lo sviluppo delle competenze” – che è anche un utilissimo manuale di formazione manageriale – mi pare che lei fornisca una risposta ottimistica a questi quesiti e sia convinto che è possibile gestire e valorizzare il patrimonio intangibile dell’”economia della conoscenza” a condizione di affiancare alla tradizionale contabilità d’impresa una nuova forma di contabilità basata sul “bilancio delle competenze”, cioè su quei criteri e strumenti necessari a favorire, per quanto possibile, la realizzazione di una vera e propria “contabilità del capitale umano”. Può spiegarci come in concreto può attuarsi questa operazione?

Più che una risposta ottimistica, una risposta necessitata. Le imprese devono riprendere il loro ruolo di creatrici e distributrici della ricchezza con il supporto della leva finanziaria. Le imprese puramente finanziarie hanno il ruolo di dare un fondamentale contributo all’economia, ma la finanza da sola non può produrre ricchezza. Si può citare la frase pronunciata da un grande capo indiano al cospetto del presidente U.S.A. T. Roosevelt: “quando avrete ucciso l’ultimo bisonte, abbattuto l’ultimo albero e prosciugato l’ultimo fiume, vi accorgerete che non potete nutrirvi di dollari…“.

Per favorire una contabilità del capitale umano è indispensabile definire i requisiti professionali per ricoprire le varie posizioni organizzative (requisiti caratterizzati da conoscenze e capacità senza le quali non è possibile svolgere determinate e complesse attività; ovviamente si tratta di attività con contenuti tecnologici, amministrativi, commerciali, scientifici, ecc.). Se ci si pensa, si tratta delle cosiddette “specifiche d’acquisto” senza le quali nessun responsabile degli acquisti comprerebbe prodotti o servizi di natura non elementare.

Lei si rivolge nel suo libro particolarmente alle aziende che perseguono il “gioco a somma superiore di zero”, che cioè creano ricchezza non solo per gli azionisti, ma anche per i clienti e i dipendenti. Imprese che puntano soprattutto sulla crescita professionale dei propri collaboratori per contrastare l’egemonia della speculazione finanziaria. Lei, in generale, è ottimista da questo punto di vista?

Anche qui, più che ottimista sono speranzoso in quanto questa è l’unica strada mediante la quale si  possa tornare alla “crescita”, ovviamente non nel senso dei decenni passati quando i volumi di produzione (la domanda che superava l’offerta) consentivano l’incremento automaticamente progressivo dei budget, ma in un’ottica di innovazione continua finanziata dai risultati d’impresa oltre che dagli investimenti finanziari.